Nel 1952 conosce Pinuccia, sua inseparabile compagna, che sposerà nel 1965. Nella seconda metà degli anni Cinquanta approfondisce sempre più febbrilmente il suo rapporto con la pittura, che lo porterà a dedicarsi interamente all’arte nel 1959. Sono gli anni della frequentazione del Bar Giamaica, dell’attrazione per Sironi e per la sofferta ricerca plastica Nicolas De Stael (“sono sempre rimasto folgorato dalla luminosa solitudine dei suoi spazi”).
Tra gli artisti della sua generazione frequenta Emilio Tadini (“che a quel tempo era principalmente un coltissimo critico”), Piero Manzoni (“Mi sembrava un muratore, con i suoi vestiti militari, l’aria modesta e semplice, che non lasciava emergere di certo l’idea di un intellettuale: misteri delle apparenze!”), Enrico Castellani, il (“concitato”) Tancredi e stringe una profonda amicizia con Gianfranco Ferroni, Dadamaino e il filosofo Sossio Giametta, erede culturale di Giorgio Colli e Mazzino Montinari nella sistemazione del corpus dell’opera di Nietzsche. Picenni ricorda di Ferroni il carattere in bilico tra il pauroso e l’irascibile (“Meno pauroso di me, ma più irascibile. Mangiando insieme all’umile Ristorante Fiorino mi disse: - Tu Fernando, hai un rispetto sacro dell’essere umano. Ho cercato di ricordarmelo in tutti questi anni. Dadamaino? Non parlava mai del suo lavoro. Ma lavorava, eccome, senza chiacchiere. Fu lei a mandarmi da Fontana nello studio di Corso Monforte”).
Già nell’ultimo scorcio degli anni Cinquanta Picenni ha identificato un suo inconfondibile stile, nel quale una rapida pennellata sfugge all’oscuramento della superficie (“Sì, impostando immagini ferme, corpose, quasi monocrome, emergenti e solitarie”).
Ha casa e studio in via Bigli, affacciati su via Montenapoleone, dove in quello stesso 1959 Franco Russoli vede per la prima volta le sue opere, divenendone grande estimatore e citandolo nella rivista francese l’Oeil. Dopo alcune mostre collettive, tra cui la partecipazione al Premio San Fedele, a quel tempo ambitissimo, la prima mostra personale è nel 1961 al Salone Annunciata di Milano, con un catalogo curato da Emilio Tadini. Tra i visitatori della mostra ci sono Emilio Scanavino, che lo stesso giorno inaugurava una mostra nella vicina Galleria Del Naviglio, Enrico Castellani, Dadamaino e Lucio Fontana, che acquista un’opera di Picenni (ne acquisterà altre due in seguito) e Mario de Micheli, che recensisce la mostra. Sempre del 1961 è la mostra alla Galleria Il Triangolo di Roma con Gastone Biggi e Osvaldo Pivetta.
Nel 1968 è la prima mostra alla Galleria Morone 6 di Milano, con il catalogo curato da Mario de Micheli (“Era solenne e cattedratico nell’eloquio, come se fosse occupato ad arrotondare parole roboanti. Ma era bravo”); la seconda sarà nel 1970, questa volta con un catalogo curato da Vittorio Fagone.
Nel 1970 è invitato alla Mostra “Pittura 70. L’Immagine Attiva” alla Casa del Mantegna di Mantova, con Forgioli, Madella, Olivieri, Vago, l’amico Raciti e altri (“Ebbi la sensazione che i miei colleghi non fossero contenti della mia partecipazione a quella mostra: questo mi diede fiducia sul fatto che ero sulla buona strada, a qualunque costo e nonostante tutto. Ero allenato alla solitudine. Io cercavo la forma, loro forse no”).
S’interessano al lavoro di Fernando Picenni Marco Valsecchi (“Mi colpì sentirgli dire che i miei quadri avevano una forza intensa per capacità di concentrazione”) e Dino Buzzati che scrive sul Corriere della Sera. È di questi primi anni Settanta un forte approfondimento di una timbrica accesa, esposta compiutamente per la prima volta nel 1971, alla mostra personale alla Galleria Falchi di Milano, con un catalogo curato da Silvano Falchi (“Falchi era proprio uno strano gallerista, amava l’arte fino alla sofferenza”). Alla Galleria Falchi frequenta assiduamente gli artisti Ben Ormenese, Felice Canonico, Paolo Conti, Mario Tudor e Mario Molteni. Nel 1972 è la personale alla Galleria Il Traghetto 1 di Venezia.
Nel 1973 è la prima di una serie di mostre alla Galleria Spriano di Omegna.
Nel 1974, in occasione della mostra alla Galleria la Galassia Marco Valsecchi denomina le sue pitture “stendardi geometrici”, quasi presagendo il nuovo ciclo geometrico che impegnerà il maestro negli anni successivi.
Nel 1975, in occasione della mostra alla Galleria L’Informazione Visiva di Roma, Cesare Vivaldi scrive di una pittura “essenzialmente lirica, che si sforza, assai giustamente, di contenere il proprio lirismo”. Sull’Espresso recensisce la mostra Francesco Vincitorio che rimarca ancora il contrasto tra “i colori accesi su fondi scuri”.
Nel 1976 Vanni Scheiwiller vede la seconda mostra personale del maestro alla Galleria Spriano di Omegna e ne rimane profondamente colpito, valutandone lo spessore internazionale.
Tra il 1976 e il 1977 l’arte di Picenni vira verso l’astrazione geometrica: la nuova vena creativa è travolgente, il maestro sembra rinunciare all’evocazione lirica, affidandosi ad una razionalità carica però di valori metaforici. Sarà il filosofo Sossio Giametta, amico per la vita, a riscontrare, in occasione della personale alla Galleria Athena di Meda, come nel nuovo ciclo di opere l’arte di Picenni “è divenuta chiara, dilatata, fatta di spazio, di linea, di intelletto”.
Tra il 1978 e il 1983 Picenni realizza le Costruzioni, che poi riprenderà tra il 1995 e il 1998 (“Sentivo il bisogno di espandere il campo operativo del quadro, cioè la sua dimensione serrata, chiusa dai bordi, di abbandonare addirittura la tela per cercare una spazialità vasta, non racchiudente, alla conquista della parete”). Le Costruzioni sono opere di grandi dimensioni realizzate perlopiù con legno variamente sagomato e dipinto, fissate a parete (alcune dal muro sono prolungate sul pavimento), in cui il maestro anticipa ogni concetto di “installazione”, termine destinato a grande fortuna (“Venne a vedere le mie Costruzioni Pardi, mandato da Marconi: credo ne abbia fatto tesoro”).
Picenni ritorna alla pittura, al suo plasticismo lirico, arricchito dall’es
perienza geometrica.
Nel 1988 Elena Pontiggia, sul catalogo in occasione della mostra allo Studio 111 di Milano, parla di “sogno della pittura”.
Nel 1995 sette Costruzioni sono esposte al circolo Culturale Bertolt Brecht di Milano.
Nel 1999 la Galleria San Fedele espone dipinti e quattro Costruzioni.
Nel 2003, in occasione della Mostra alla Galleria Folini di Chiasso, l’Editore Mazzotta promuove un catalogo dedicato alle opere recenti su tela, a cura di Elena Pontiggia, con testi di Domenico D’Oora e Meeten Nasr.
Nel 2004 esce il secondo volume Mazzotta, dedicato alle Costruzioni sempre a cura di Elena Pontiggia. Nello stesso anno una fotografia di Picenni viene inserita, di fianco a quella di Piero Manzoni, sul volume Storia d’Italia, L’Immagine Fotografica (a cura di Uliano Lucas), Einaudi Editore.
Nel 2005 è la mostra alla Galleria PoliArt di Milano, che già da anni s’interessa al suo lavoro. In occasione della mostra alla PoliArt la compositrice Paola Samoggia gli dedica un fotogramma musicale, intitolato Berceuse luisante, affascinata dalla luce picenniana di questi anni.
Del 2006 è la grande antologica al Museo Nazionale di Villa Pisani a Strà, a cura di Leonardo Conti e Giovanni Granzotto, con una lunga poesia di Elisabetta Gennasi (…Spingono attorno pigri bagliori;/là oltre,/avvinti alla notte /orli di cielo…).
Nel 2007 per la Rosler Italiana, su commissione dell’importante collezionista Alessandro Giussani, realizza l’incisione “In cruna dorata il filo Amore”.
La mostra alla GAM Spazio Ex Pescherie di Cesena è dedicata agli anni recenti, nei quali una luce nuova riempie la pittura di Picenni (“È avvenuta un’accensione in questi anni, forse è una gioia interiore, oltre i bordi della sofferenza: Pinuccia sta meglio. Credo che se uno ha qualcosa da dire la sua pittura te lo faccia capire”).
Nel 2009 è l’antologica Fernando Picenni, percorsi romani, al Museo Mastroianni di Roma con un catalogo a cura di Giovanni Granzotto e testi di Daniele Grassi, Francesca Boesch e Leonardo Conti, Il Cigno GG Edizioni. Dopo una lunga malattia, il 17 maggio 2009 muore Pinuccia, picenniana musa, il cui sorridente sguardo resterà il segreto vitale che illumina i colori delle ultime opere del maestro.
Nel dicembre dello stesso anno esce il libro Pensieri nella collana Sorvoli (Vanillaedizioni), nel quale sono raccolti, per la prima volta, versi scelti dall’ampia produzione poetica dell’artista.
Del 2010 è la mostra I sogni e la macchina per sognare, alla PoliArt Contemporary di Milano, in occasione della quale è presentato l’omonimo breve film con Fernando Picenni, per la regia di Stefano Attruia e Leonardo Conti.
Nel febbraio 2011 è la mostra alla Perl’a Art Gallery di Venezia, con testi di Franco Batacchi e Viviana Birolli.
(“Giovanni ha già visto i quadri?” “Sì, non ti preoccupare maestro”).
Nel 2013 è la mostra Forme nel balenio alla PoliArt Contemporary di Milano in cui tra le opere recenti emerge la monumentale “Grande caduta” una tela di cm 300X220. Sempre del 2013 è la personale Minimalia allo Studio Gariboldi di Milano, a cura di Paolo Lavezzari.
Del 2015 è la personale The way of happiness alla PoliArt Contemporary di Rovereto con un catalogo a cura di L. Conti e testi di S. Bastianini e D. D’Oora.
Nel 2019 è la personale Fernando Picenni. Le forme visibili della poesia a Palazzo Libera a Villalagarina (Tn), a cura di Michele Beraldo e Leonardo Conti. Nello stesso anno è invitato con un’opera alla mostra promossa dalla Regione Valle D’Aosta, Lucio Fontana. La sua ombra lunga, quelle tracce non cancellate, al Museo Archeologico Regionale di Aosta, a cura di Leonardo Conti e Giovanni Granzotto. Tra la fine del 2019 e il 2020 è invitato alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Monfalcone con due opere alla mostra Lucio Fontana e i mondi oltre la tela, a cura di L. Conti e G. Granzotto.
È nel 2020 che, all’età di novantuno anni, inizia il nuovo ciclo Colorvive, opere realizzate con pastelli a olio su cartoncino, in cui nella piccola dimensione realizza brani lirici che paiono opere monumentali.
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